Rosa di luce e pane
a mia madre
L’ombra di me, nel buio,
dove tutto s’addensa
la chiave invano tende.
e’ l’uscio un muro,
ermetico, sinistro,
tra scheletri di case
e vene disseccate,
delle strade.
Da prigioni di nebbie,
voci stridule
di nidi
sotto i tetti,
disfatti.
E sibili di boschi
su radure,
auree tinte, innocenti;
di paure.
Sotto l’arco del cielo
capovolta Armonia:
muore il canto.
La terra non respira.
Il tempo se ne va e non ritorna.
Avrò pietà
del croco calpestato,
della viola
sul ciglio della strada?
O è finito per sempre
il tempo delle attese?
Madre cortese, è il limite,
oltre il nostro
volere,
inviolabile!
Tu, che mi hai affrancato
dal lavoro
dei campi,
mi hai conservato intatto
il cuore della terra,
le sue fonti.
Mi dicesti: Vai, figlio!
Io ho inseguito
ombre, le labili orme di parole,
nuvole rosa in volo
a immagine dell’anima;
di onde vertiginose.
Null’altro mi si è dato che parvense.
Quasi un tocco,
non per viltà, furtiva,
la ricerca.
Fiocchi di sogni alati la Bellezza
allo sguardo si scioglie.
Su queste soglie d’alba
si coglierà la Rosa
della luce
sparviera.
Le spighe con le reste aspre di sole,
ghermite ad una ad una tra le stoppie.
E poi mani febbrili
di notturno lavoro
a intridere farina e lievitare
larghe nicchie di pane
a custodire
Dio.
Non una briciola si può sprecare
per non perdere il sacro e ogni fragranza
Rifiorirà la Rosa,
Rosa di luce e pane,
ritmata di dolore e voluttà.
Le voci di sirene;
I sempiterni semi
della terra
feconda.
Di ogni provvido
amore; di stupore.
E’ solo una leggenda …
Quel che è stato
com’era
a mia madre
L’ombra di me, nel buio,
dove tutto s’addensa
la chiave invano tende.
e’ l’uscio un muro,
ermetico, sinistro,
tra scheletri di case
e vene disseccate,
delle strade.
Da prigioni di nebbie,
voci stridule
di nidi
sotto i tetti,
disfatti.
E sibili di boschi
su radure,
auree tinte, innocenti;
di paure.
Sotto l’arco del cielo
capovolta Armonia:
muore il canto.
La terra non respira.
Il tempo se ne va e non ritorna.
Avrò pietà
del croco calpestato,
della viola
sul ciglio della strada?
O è finito per sempre
il tempo delle attese?
Madre cortese, è il limite,
oltre il nostro
volere,
inviolabile!
Tu, che mi hai affrancato
dal lavoro
dei campi,
mi hai conservato intatto
il cuore della terra,
le sue fonti.
Mi dicesti: Vai, figlio!
Io ho inseguito
ombre, le labili orme di parole,
nuvole rosa in volo
a immagine dell’anima;
di onde vertiginose.
Null’altro mi si è dato che parvense.
Quasi un tocco,
non per viltà, furtiva,
la ricerca.
Fiocchi di sogni alati la Bellezza
allo sguardo si scioglie.
Su queste soglie d’alba
si coglierà la Rosa
della luce
sparviera.
Le spighe con le reste aspre di sole,
ghermite ad una ad una tra le stoppie.
E poi mani febbrili
di notturno lavoro
a intridere farina e lievitare
larghe nicchie di pane
a custodire
Dio.
Non una briciola si può sprecare
per non perdere il sacro e ogni fragranza
Rifiorirà la Rosa,
Rosa di luce e pane,
ritmata di dolore e voluttà.
Le voci di sirene;
I sempiterni semi
della terra
feconda.
Di ogni provvido
amore; di stupore.
E’ solo una leggenda …
Quel che è stato
com’era
resterà.
In cielo sale l’Ave
Maria della sera.
Umile madre,
Addio.
Domenico Gilio
Professore Poeta Scrittore
In cielo sale l’Ave
Maria della sera.
Umile madre,
Addio.
Domenico Gilio
Professore Poeta Scrittore
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La poesia è stata letta dalla Prof.ssa Patrizia Audino
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